Archivio per la categoria ‘La materia dei segni’

Vincenzo Mollica e Vincenzo Paperica

Vincenzo Mollica insieme con Vincenzo Paperica

È che alla fine verrebbe voglia di usare per lui, Vincenzo Paperica che fra gli umani è Mollica, gli stessi superlativi ridondanti che lui stesso ha adoperato centinaia di volte per attori, registi e cantanti. Vincenzo sta perdendo la vista e, non contento (ridondante in tutto), ha anche il Parkinson e il diabete. Apprendiamo queste notizie e, istintivamente, vorremmo correre ad abbracciarlo forte per farci contagiare ancora una volta dal suo placido attaccamento alla vita.

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Le ragioni per essere allegri. Le sta cercando David Byrne, il leader storico di una rock band degli anni Settanta, i Talking Heads. Byrne ha aperto un sito web che si chiama reasonstobecheerful.world. È un’iniziativa molto bella: non è banalmente buonista e utilizza le armi della ragione e della ragionevolezza per individuare nelle umane vicende le cose che ci uniscono invece di quelle che ci dividono.

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Non hanno un solo capello fuori posto le nuove donne della tivù del terzo millennio. Hanno outfit invidiabili, preferiscono i colori pastello, sono capaci di tenere a bada anche gli uomini più volgari e piangono quando meno te lo aspetti.

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Megvii, one of four highly valued Chinese facial-recognition startups, has filed for an IPO. Most of its revenue comes from surveillance and security systems.

Sorgente: Behind the Rise of China’s Facial-Recognition Giants | WIRED

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Chernobyl, la serie tv dei record (per ascolti e per gradimento di critica), fa paura, molta paura. Per due motivi.

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C’è una sapienza antica in alcune attitudini dei Millennials (i ragazzi nati dopo il Duemila). Guardano serie tv e film con l’occhio scanzonato di chi non vuole esprimere giudizi ma di chi cerca soltanto una rappresentazione fenomenologica di sentimenti e stati d’animo. Lontani dagli strilli psichedelici degli anni Settanta, quando i giovani cercavano nuovi e improbabili maestri nelle canzoni dei grandi concerti rock all’aperto, i ragazzi di oggi utilizzano invece il sistema del “mash-up”, letteralmente “poltiglia”, per mischiare insieme contenuti (video, musica, testi) diversi e ottenere in questo modo una nuova storia, più personale e, quindi, più vera. (altro…)

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Se non sei glocal, non sei nessuno. Lo hanno capito, e molto bene, i partner della parigina Wild Bunch, una delle più agguerrite società francesi di distribuzione cinematografica. Un paio di anni fa hanno scoperto la magia della tv. Glocal, ovviamente.

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Il modello Youtube è molto importante per il mercato italiano ma sono ancora in pochi a crederci veramente. Uno scetticismo decisamente mal riposto. Il numero di “views” sul web infatti cresce in modo esponenziale anche in Italia (e non solo nel resto del mondo). A marzo gli youtuber nostrani avevano già caricato più di tre milioni e mezzo di video (erano meno di un milione subito dopo Natale). La media iscritti di un canale top di YouTube, dal 2015 a oggi, è più che raddoppiata: prima si andava in testa con un milione scarso, adesso ne servono dai 2 ai 3 milioni. Il numero delle views è arrivato complessivamente, solo nel nostro paese, alla cifra record di 79 miliardi (elaborazioni GreaterFool.tv, basate su un campione di 12.500 canali YouTube italiani con più di 1.000 subscriber). Sono numeri che fanno impallidire gli ascolti di Sanremo e che creano qualche disagio anche alle tv in abbonamento come Sky.

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I premi tv in Italia fanno schifo. Fanno talmente schifo che hanno addirittura smesso di trasmetterli in tv. Un segnale che più chiaro di così non si potrebbe. Se neanche la televisione che viene premiata ne sopporta la vista (e la messa in onda)… vabbè! I Telegatti di Mediaset furono chiusi nel 2009 da Piersilvio Berlusconi. Il premio della regia tv della Rai, lo scorso anno si è svolto regolarmente ancora una volta però, fatto inedito e drammatico, non è stato trasmesso in tv, neanche su un canale digitale piccolo piccolo.

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Che magari la stanno cercando chissà dove, la star da proporre al pubblico degli adolescenti, e invece ce l’hanno sotto gli occhi e non se ne sono neanche accorti. Si chiama Enrico Zanchini, fisico asciutto da 40enne in forma, leggermente abbronzato, vestiti trasandati, motorino di ordinanza. Non lavora in tv, non ancora, ma ha già avuto il suo battesimo del fuoco: un premio David di Donatello per il documentario Crazy for Football di Volfango De Biasi.

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Siamo nel 1940. Orson Welles sta girando il suo capolavoro, “Citizen Kane”. Sul set si respira a fatica. Siamo al turning point del film di Welles. Kane, a causa di un unico e tragico innamoramento, decide di giocarsi tutto: posizione, amici, famiglia. E’ un momento topico della storia e dovrà mostrare il gigantismo dell’ego ipertrofico di Kane.

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E’ come la “Cannonball Run”, la corsa automobilistica più pazza del mondo. Il primo a partire era stato Bollorè ma le sue recenti disavventure giudiziarie e l’esito disordinato delle trattative di Vivendi in Italia lo stanno costringendo ad un forte rallentamento. Sulle sue orme, intanto, si sono già scatenati i suoi più diretti e temibili concorrenti. Si chiamano Patrick Drahi e Xavier Niel e sono determinati a sfidarsi, senza esclusione di colpi, nella gara “più pazza” del nuovo business tv. Drahi e Niel sono due miliardari del mercato della comunicazione globale e hanno una parte dei loro interessi anche in Italia.

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Continuano a chiamarli “Generazione Z” (l’ultima generazione del vecchio secolo), ma i veri millennials, i ragazzi che avranno 18 anni fra qualche mese, sono invece una “Generazione A”, i primi ad essere nati e cresciuti nel Duemila. Per loro la tv è un elettrodomestico inventato ai tempi di Orwell più di sessanta anni fa (i loro nonni erano neonati). E’ solo un pezzo di archeologia. La televisione più usata dagli adolescenti è una tv completamente nuova (Generazione A), ha un altro nome e utilizza un’altra tecnologia. Si tratta dello smartphone che ognuno di loro ha in tasca.

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Leslie and John Malone walk at Harmony Sporthorses, December 2, 2014.

Tutti lo conoscono ormai come il Cowboy del cavo ma di soprannomi ne ha avuti tanti. Variety, nel 1994, lo paragonò a Mad Max, il guerriero della strada. Secondo Al Gore invece era Darth Vader, come l’oscuro ex cavaliere Jedi di Star Wars. Il suo complesso impero finanziario (equamente diviso fra proprietà immobiliari e media company)  ancora oggi è definito, con un sussurro timoroso, la “Death Star” (la Morte nera, sempre Star Wars) della comunicazione globale. John Malone comunque se la ride, dei soprannomi e dei tanti nemici che nel corso dei suoi 75 anni ha lasciato dietro di sé.

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Faceboo! E la tv trema

Pubblicato: 27 febbraio 2018 in La materia dei segni

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Faceboo! Senza la k alla fine. È il grido che Mark Zuckerberg, dietro il paravento, ha indirizzato alle tv di tutto il mondo. Faceboo! E molti manager tv sono caduti dalla sedia. “Il motivo per cui continuerò a mettere in primo piano il video in tutta la nostra famiglia di applicazioni è che vedo il video come un megatrend”, ha detto il padrone di Facebook.

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Se l’unica fake dello scandalo delle fakenews su Facebook fosse quella del desiderio di Mark Zuckerberg di fare la tv? A chiederselo cominciano ad essere in tanti. Negli Usa e negli ambienti professionali del resto del mondo.

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Per un giornalismo più Pio

Pubblicato: 27 febbraio 2018 in La materia dei segni
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Ma che giornalismo è?!?! Guarda in camera, sorride, ti dice che non ha capito quello che è successo. Poi volta le spalle agli spettatori stupefatti e comincia a camminare (e a parlare nel microfono) mentre si fa largo  in mezzo a file di profughi o fra le camionette della polizia. Pio D’Emilia, un viso sorprendentemente vecchio e bolso nel palinsesto degli eternamente giovani di Sky Tg 24, sembra la contraddizione e la pietra d’inciampo di ogni moderna forma di giornalismo televisivo.

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