«Per il cinema non dobbiamo parlare di crisi ma di sviluppo sostenibile», ha detto Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema, durante gli screenings organizzati dalla direzione commerciale della Rai (Luigi De Siervo) a Firenze nella settimana dopo Pasqua. Si tratta di una tesi interessante. Per anni il cinema è stato sostenuto dal Ministero dei Beni Culturali. Il Fondo Unico dello Spettacolo, incubo e speranza di autori e produttori, ha prodotto una sindrome dalla quale il cinema italiano stenta ad uscire. Si tratta di una sorta di dissociazione bipolare. Da una parte, infatti, si parla del cinema come se fosse una reliquia del passato da tutelare contro l’evidenze del mercato e dei trend internazionali, un “bene culturale”, come i musei o gli scavi archeologici, da sostenere nel nome del principio della difesa dell’identità culturale nazionale. Dall’altra, invece, si dice che in Italia manca una politica industriale (adesso si chiama politica per lo sviluppo) del cinema e che produttori e autori, da troppo tempo, vivano come pensionati ai giardinetti in attesa di una commessa da parte dei broadcaster o dei finanziamenti a fondo perduto del Mibac o degli Enti locali, neanche fosse una sorta di rendita di posizione. Nel frattempo il mondo è cambiato. L’Italia è l’unico paese del G7 a crescita zero. Lo ha stabilito, alla fine di marzo, l’osservatorio dell’Ocse. La Germania, ha detto Pier Carlo Padoan, capo economista dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, vanta previsioni di crescita del Pil del 2,3% nel primo trimestre del 2013 e del 2,6% nel secondo; la Francia, che presenta sintomi di flessione, mantiene comunque un timido segnale positivo: 0,6% nel primo trimestre e 0,5% nel secondo. L’Italia, invece, ha un inequivocabile segnale negativo: meno 1,6% nei primi tre mesi del 2013, meno 1% nel secondo trimestre, dopo aver chiuso il 2012 con un calo del 3,7%. Secondo Del Brocco, nei cinema «il 2012 si è chiuso con un 8% di presenze in meno rispetto al 2011. Anche questo settore risente della congiuntura economica». Ma, ha aggiunto, «ci sono segnali di ripresa che fanno ben sperare». Non sarà però la sola speranza a sostenere la ripresa del cinema italiano. Come per il resto della manifatturiera italiana, sarebbe invece auspicabile un sostanziale cambiamento di rotta. Lo dice da tempo, per esempio, il presidente della Film Commission del Piemonte, Steve Della Casa. «C’è un equivoco che tarda ad essere chiarito. Il cinema non dovrebbe essere sostenuto dal Mibac ma dal Mise, il Ministero dello sviluppo economico», continua a ripetere ad amici e conoscenti. Sembra una logica conseguenza dell’affermazione di Del Brocco. I dati del settore sono impressionanti. Secondo una ricerca di Unindustria presentata alla fine del 2012, «il settore dell’audiovisivo nazionale è un’industria vera: con 15,5 miliardi di fatturato si colloca in una posizione di assoluto rispetto e mediana tra i colossi dell’industria italiana». La siderurgia (ante Ilva) ha un fatturato di 21,2 miliardi e sotto la soglia dell’audiovisivo ci sono comparti come i servizi postali (12 miliardi) e il trasporto aereo (8,1 miliardi). Il cinema e la tv, inoltre, danno lavoro a circa 60.000 persone. «Ogni euro investito in produzione – dice Unindustria – si trasforma in 3,25 euro di reddito sul territorio, allargando, così, il beneficio dell’attività ben oltre l’ambito del cinema in termini di reddito ma anche in termini di occupazione e sviluppo di attività ancillari». I dati quindi sono inequivocabili e il cinema italiano, seppure ancora troppo timidamente, comincia ad accorgersene. Sono cresciute le società italiane che riescono ad operare sinergicamente in tutti i settori dell’audiovisivo (cinema, tv, pubblicità e web) e alle trite discussioni sul Fus si sono ormai sovrapposti gli appelli per allargare il meccanismo del tax credit anche alla tv. «Gli investimenti privati nel cinema sono aumentati, segnando una crescita del 10% negli ultimi 4 anni. Quelli dello Stato tendono a diminuire ma, negli ultimi 4 anni, con l’intervento del tax credit, sono cresciuti dell’8%» spiega Unindustria. Sarebbe interessante, quindi, che anche il cinema si rendesse conto che ormai il ministro giusto per lo sviluppo del settore non è più quello di Via del Collegio Romano ma quello di Via Veneto. Per fare cosa? Basterebbe leggere il lungo elenco dei provvedimenti correlati ai decreti sviluppo del Mise varati da Passera per constatare che alcune di quelle norme potrebbero interessare (eccome!) anche il cinema. Intanto la Cinecittà di Cicutto lo ha capito bene e per la promozione del cinema all’estero ha cominciato ad operare in sinergia con gli uomini di Via Veneto. Un altro segnale interessante e un monito per tutti.
Pubblicato su Box Office il 29 aprile 2013