
Film freddo: "Per i lettori però di Freud e di Jung, i libri dei maestri non si superano con la pellicola di Cronenberg", scrive Gerry.
I bookmaker dicono David Cronenberg, ma non hanno visto A Dangerous Method. Perché non è un Cronenberg da Leone. Sempre se a Venezia 68 si premia il film e non il regista, che è perfetto per chiudere la Mostra di Marco Müller.
Perciò, per chi desidera scommettere su Venezia 68, in Italia non è legale, in Inghilterra sì, scommettete, perché il Leone pagherà, la posta si alza di giorno in giorno…il mio nome è sempre Todd Solondz…
Le idi di Marzo di George Clooney resiste, sia da Polanski sia da Cronenberg, e sia da Philippe Garrel che con Un été brûlant è lontano dalla radicalità di Les amants réguliers – controcampo del ‘68 di The Dreamers di Bertolucci – per pensare al Leone.
A Dangerous Method non è un film alla Cronenberg, o non all’altezza dei lavori di Cronenberg come A History of Violence o Eastern Promises. La storia di Jung e Freud, intricata dall’amante di Jung, Sabina Spielrein (Keira Knightley), sembra terreno perfetto per Cronenberg. Perché la pellicola racconta la storia del dottor Jung, allievo che contestò Freud, e di Sabina, paziente di Jung che diventerà amante di Jung.
I titoli sono alla Cronenberg, sono macchie di inchiostro, simili alle macchie di Spider, il film sulla psiche di Cronenberg che surclassa A Dangerous Method.
Il film inizia con il ricovero di Sabina a Zurigo e con il metodo di Jung, il “pericoloso” metodo del titolo, la cura parlata, che aiuta il paziente a diventare chi è.
Venezia 68 schiera un carnet di attrici unico: Keira Knightley è disturbante a interpretare Sabina, così come è disturbante ammettere la malattia e curarla, e si candida anche lei alla Coppa Volpi.
Jung (Michael Fassbender) piano piano cercherà di interpretare i materiali di Sabina, e di estrarre la violenza che Sabina ha subito e che, però, desidera, paura e desiderio.
Jung individua il piacere di stare male di Sabina. Ma instaura una relazione con Sabina, spostata sul versante del dolore come piacere, una relazione sadomaso.
E così Jung si troverà a tradire il transfert con il paziente e ad affrontare la sua psiche, tra la vita con la moglie e i figli e la vita con Sabina, sullo sfondo della relazione professionale con Freud (Viggo Mortensen, alla terza collaborazione consecutiva con Cronenberg).
Sabina è così talentuosa da mettersi a studiare medicina e da diventare psichiatra, ma si laureerà con Freud, tradendo Jung.
La pellicola è un incrocio raffinato, anche se è con le lettere che Jung e Freud si scrivono che la storia va avanti, non è semplice filmare la diatriba tra Jung e Freud…
E c’è però un po’ di manierismo a filmare Freud, non sembra l’inventore della psicanalisi, l’analista che ha scoperto l’inconscio, sembra un oscurantista, sembra un personaggio “scritto”, a uso e consumo della storia di Jung e Sabina.
Il film appare freddo. È svolto, come un tema. Ma manca la personalità, o la direttrice. Tant’è che il punto più raffinato della pellicola è quando Freud, su una nave che parte per l’America, non racconta a Jung un suo sogno. È una scena che ci dice di più sulla psicanalisi che non il film, cioè ci dice che cosa c’è in un sogno, c’è la verità.
A Dangerous Method è un film raffinato ma manierista, non so se servisse Cronenberg a dirigere. Sembra paradossale, ma un regista che lavora su che cosa è la psiche come Cronenberg, come in A History of Violence, si è trovato adesso a lavorare con la psicanalisi ma l’ha “mancata”. Cioè, la psicanalisi ha schiacciato Cronenberg.
Il film è così un biopic “a triangolo” su Carl Gustav Jung, e si chiude anche moralisticamente. È perfetto per chi non conosce né Freud né Jung, e forse conviene non conoscerli e non sapere di non sapere. Perché è appagante non conoscere Freud e Jung e uscire dalla sala credendo di conoscere che cos’è la psicanalisi o che Jung contestò a Freud la sessualità come origine dei disturbi.
Per i lettori però di Freud e di Jung, i libri dei maestri non si superano con la pellicola di Cronenberg. A confermare che i nomi a Venezia 68 ci sono, però i nomi devono presentare film all’altezza. Sempre se a Venezia 68 vincono i film e non i nomi.
Gerry
Keira Knightley é un’ attrice “catalogata”, alla quale fanno recitare sempre lo stesso ruolo. Come Russell Crowe fa sempre un personaggio simil – Gladiatore, come Tom Cruise deve sempre fare l’ eroe che salva il mondo, così lei é intrappolata nel ruolo della dama di corte.
Lei é l’ eroina dei film in costume che, nonostante il suo atteggiamento sobrio, timido e riservato (come si conviene ad una donna di classe), fa innamorare perdutamente un ragazzo di buona famiglia. E puoi star certo che lui, nel giro di un’ ora e mezza, vincerà la diffidenza di Keira e le avversità del destino, e la porterà trionfalmente all’ altare.
A proposito di attori catalogati, il caso più clamoroso é forse quello di uno dei miei miti personali, John Wayne. Lui cercò di non fossilizzarsi nel ruolo del cow-boy, facendo tanti film di tutt’ altro genere. Eppure ancora oggi, a quasi 30 anni dalla morte, nessuno riesce ad immaginarlo senza la divisa da film western. Questo vale anche per me: quando l’ ho visto in un poliziesco, ad esempio, mi ha fatto un certo effetto vedere che aveva la macchina al posto del cavallo.
Tra l’ altro i suoi film “non western” sono quasi tutti delle vere chicche, perfettamente godibili anche a decenni di distanza.