Il segnale è piccolo, appena percettibile. La sua importanza però è impressionante. La Rai, per la prima volta, ha ammesso pubblicamente che l’Auditel è morto. Lo ha fatto il direttore marketing della tv di stato, Andrea Fabiano, con una mini intervista ad un noto quotidiano. “Dal 2016, ha detto Fabiano, l’Auditel dovrebbe trovare un modo per misurare gli altri schermi”. Secondo il direttore marketing di Viale Mazzini, i giovani “se vivono ancora in casa non disdegnano il vecchio televisore. Ma, certo, sono portati a preferire altri device. Pc a parte, ci sono smartphone, tablet, decoder, console giochi. Proprio per questo, dal 2016 l’Auditel dovrebbe trovare un modo di misurare gli altri schermi”. Flautato ma spietato. Auditel è stata costituita nel 1984. Sono passati trent’anni, ma sembra un secolo. Il modello di business della televisione, in Italia e nel mondo, è molto diverso da allora. “Il prime time è stato sostituito dal my time, coinvolgendo un italiano su tre”, ha detto Francesco Siliato del Politecnico di Milano. Il panel di 5.600 famiglie non è più ritenuto sufficiente neanche dalle Autorità garanti e i principali player del mercato italiano come Discovery o Sky non nascondono più il loro disagio. Paolo Agostinelli di Sky ha detto che è ormai necessario costruire “un’Auditel 2.0″, per superare l’inadeguatezza dell’attuale sistema di rilevazione degli ascolti. “Nel mutato scenario, Sky chiede al servizio di monitoraggio una governance non più gestita dalle generaliste e una migliore percezione dell’off-screen, che consideri numeri importanti come i 25 milioni di download da Sky On Demand in soli 10 mesi”. Intanto la società di Murdoch si è attrezzata con un proprio sistema di rilevamento del consumo televisivo (snobbato dai vertici di Auditel con una inopinata alzata di spalle) e i suoi dati, manco a dirlo, sono molto diversi da quelli “ufficiali”. La confusione che comincia a farsi largo nel monitoraggio delle abitudini televisive degli italiani non è un bel segnale. La concorrenza degli operatori atipici come Netflix o Google nei prossimi anni sarà violentissima. Se i player italiani non ci metteranno la testa e non adegueranno presto i propri strumenti di rilevamento, potrebbero veramente non avere strumenti sufficienti per frenare lo smottamento degli investimenti pubblicitari. Le novità intanto non aspettano. Anche un insospettabile come Facebook si sta interessando, con un’aggressività inedita, al business della tv. I video postati sul social di Zuckerberg sono circa 100 milioni ogni mese. Nel confronto, persino Youtube comincia a preoccuparsi. Un backstage di Beyoncé su Facebook è stato scaricato 2,4 milioni di volte, su Youtube invece solo poche migliaia. Il fenomeno dell’Ice Bucket Challenge, su Facebook, con 17 milioni di video, è stato visto 10 miliardi di volte. Con questi numeri è facile capire, come ha fatto Fabiano, che qualcosa “dovrebbe cambiare”. Forse non solo l’Auditel.
Pubblicato su Tivù gennaio/febbraio 2015
