
Venezia 70
“Fucking catholics” dice Steve Coogan a Judi Dench, nel film “Philomena” di Stephen Frears, e gli spettatori al Lido scoppiano in una grassa risata, neanche fosse una barzelleta. Cosa ci sia di divertente nella frase “maledetti cattolici”, ovviamente, non è un mistero. Preti e credenti sono stati sempre guardati con sospetto alla Mostra del cinema di Venezia e le platee festivaliere sono sensibili ad un certo tipo di conformismo “vetero rivoluzionario” (quest’anno c’era un tizio che, ogni volta che passava il logo delle pillole dei cinegiornali Luce per “Venezia reloaded”, urlava «Viva la resistenza”). Il vero scandalo è però l’assenza di scandali e di scandalizzati alla 70ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Non una dichiarazione indignata, non un comunicato stampa di protesta. Dopo i celerini al Lido in tuta antisommossa per proteggere le proiezioni di “L’ultima tentazione di Cristo” di Martin Scorsese (era il 1988), le contestazioni si sono via via spente progressivamente. L’ultimo bagliore di un timido fuoco ci fu solo per “Magdalene sisters” di Peter Mullan (era il 2002) ma si tradusse in niente di più che qualche impacciata dichiarazione ai giornali (una ben misera cosa a confronto con i picchetti davanti alle sale dove si proiettava “Je vous salue, Marie” di Jean-Luc Godard nel 1985). Oggi, nel 2013, abbiamo assistito imperturbabili al seguente elenco di scene: ragazzo ventenne che fa all’amore con un signore di più di ottanta anni (scene esplicite) in “Gerontophilia” di Bruce LaBruce; poliziotto che picchia ripetutamente la moglie e poi la uccide in “Die Frau des Polizisten” di Philip Groning (scene fin troppo esplicite); ammucchiate e scambi di coppia (con un vero attore porno acclamato al lido neanche fosse Mastroianni redivivo) più omicidio splatter in “The Canyons” di Paul Schrader; un serial killer che fa all’amore con un cadavere di ragazza (scena esplicita) in “Child of God” di James Franco; un nonno che letteralmente si tromba la nipote minorenne dopo averla fatta prostituire con due energumeni (scene esplicite) in “Miss Violence” di Alexandros Avranas; rapporto sado maso fra due ragazzi (scene esplicite) in “Tom a la ferme” di Xavier Dolan; evirazioni, peni tagliati che volano nella strada e che finiscono sotto le ruote di un camion e incesti (scene esplicite) in “Moebius” di Kim Ki Duk, eccetera. Nell’elenco non abbiamo messo il protagonista di “Child of God” che va di corpo davanti all’occhio della cinepresa, e che si pulisce con un ramo, o le molte scene analoghe di “Stray Dogs” di Tsai Ming Liang. Dopo una tale valanga di stimoli ci aspettavamo una specie di “Apocalypse Now” di proteste e di comunicati stampa indignati. Invece niente, non un rigo di scandalizzata presa di posizione, non una contestazione, insomma niente di niente. Un vuoto cosmico. Immaginiamo la disperazione degli uffici stampa e marketing: nessun aiuto supplementare al lancio dei film. Lo ha detto bene Alberto Crespi su L’unità: i registi hanno capito ormai che ogni estremizzazione, dal sesso alla cacca e fino alla pipì, ha un effetto magico e irresistibile sui selezionatori dei festival internazionali più importanti. Per non parlare poi della vetusta e trita battaglia di retroguardia contro la Chiesa Cattolica. “Fuck the Church” è da sempre uno splendido viatico per andare in concorso a qualche festival. Per anni si è discusso sull’utilità o meno delle proteste di fronte all’efferatezza di certi spettacoli al cinema o in tv. Una parte delle istituzioni culturali e religiose sono arrivate alla conclusione che le proteste diventano una paradossale cassa di risonanza. Vero. L’assenza di un contraddittorio e l’autocensura, d’altra parte, sono l’anticamera del pensiero unico. Anche questo è un risultato paradossale. Rimane un dubbio: e se al posto di “fucking catholics” ci fosse stato, per esempio, “fucking muslim” o, peggio, “fucking jews”?
Pubblicato su L’intraprendente il 6 settembre 2013