
Claudia Gerini al Torino Film Festival
Fotografi impazziti alla cerimonia di inaugurazione della trentesima edizione del Torino Film Festival. Sul palco del Lingotto Claudia Gerini con un vestito pieno di strass e una scollatura al contrario, stretta sotto il collo e larga in vita. Una metafora del marketing cinematografico. In mezzo il nulla, parlando di stoffa, ma con la promessa di un seno in vista. A Torino è bastato questo per far impazzire i fotografi, intenti a cogliere l’attimo magico di un “fuori di seno” (copyright di Dagospia). Decine di flash al secondo, per un lungo quarto d’ora, mentre la Gerini presentava la cerimonia e salutava gli ospiti di prestigio presenti in sala. Con le mani giunte sulla generosa scollatura e intenta a tenere il microfono, per la disperazione dei fotografi, la Gerini, con un lampo di genio, ha anche esclamato: “Ma chissà che ci farete mai con tutte queste foto!”. Eh, già, perché questo alla fine è il punto. Che ci farà mai il cinema italiano di questo marketing fuori controllo, compulsivo e disordinato, apparentemente senza scopo come i frenetici scatti dei fotografi a Torino? Che fine faranno quelle foto? Facile a dirsi. Saranno pubblicate sui rotocalchi e saranno viste da un pubblico che, molto probabilmente, non va mai al cinema. Persone che conoscono la Gerini più per i film di Carlo Verdone visti in tv che per averla vista in sala ne “Il comandante e la cicogna” di Soldini. A che serve, insomma, questo nuovo star system all’italiana tarato sul qualunquismo imperante alla Antonio Ricci di “Striscia la Notizia” o alla Gianroberto Casaleggio (guru di Beppe Grillo)? Viviamo “In un mondo in cui l’ignoranza è direttamente proporzionale alla diffusione delle informazioni”, scrive Alberto Statera su “Affari & Finanza” di “La Repubblica” per una recensione del libro di Giuliano Santoro intitolato “Un grillo qualunque – Il movimento 5 stelle e il populismo digitale nella crisi dei partiti italiani” (Castelvecchi Editore). Secondo Santoro, si deve partire da Antonio Ricci e dal suo clone sul web, Casaleggio, per capire il fenomeno di Beppe Grillo. Le litanie di Greggio durante “Striscia la notizia” sono, secondo l’Italianista Vittorio Coletti, “deprivate di ogni sostanza comunicativa, diventano segni del nulla semantico, della banalità, del vuoto della nostra telecultura quotidiana”. Anche nel cinema, potremo aggiungere noi, il marketing è fatto di immagini e di un “linguaggio che non ha bisogno di smuoversi dallo stato di torpore della ragione”, come scrive Statera. Nelle società di produzione del cinema italiano le riunioni con il marketing somigliano fin troppo spesso a imbarazzanti sedute di psicoanalisi. Le ricerche di mercato e le indagini conoscitive di tipo qualitativo, che sono gli unici strumenti del marketing, sono sostituite dai “mi sembra” oppure dai “io penso che” o dalle frasi agghiaccianti come “a mio figlio, mia nonna, mio zio, è piaciuto”. Brilla, nel bene e nel male, l’esempio di Enrico Lucherini. “La svolta della mia vita fu una conversazione con Sofia Loren – ha raccontato recentemente lo stesso Lucherini a Vittorio Zincone -. Lei aveva lavorato negli Usa. Le chiesi chi era il genio che si era inventato di soprannominare Gilda, come il film, la bomba atomica fatta esplodere sull’atollo Bikini. Lei mi disse che probabilmente era stato l’ufficio stampa. Decisi che era quello che volevo fare. Il mio primo ufficio? I tavolini dei bar di via Veneto”. Gli strumenti di lavoro di Lucherini sono stati una profonda empatia con quel sistema della comunicazione che avrebbe prodotto poi il successo di Antonio Ricci o di Bepe Grillo e una maniacale frequentazione degli ambienti del cinema. Ma la parabola di Lucherini ha fatto scattare anche la vuota emulazione dei molti che invece non hanno il suo genio. I veri esperti del marketing sanno bene che la filiera produttiva non si regge sul genio di un singolo: solo il lavoro quotidiano e gli strumenti di ricerca sanciscono la differenza fra l’improvvisazione e la professionalità. “Il problema è che manca un’industria del cinema”, dice Lucherini. Rimane sullo sfondo il ruolo degli attori, fin troppo spesso improvvisati guru del nulla (con l’eccezione della Gerini, anzi grazie per la battuta di Torino!). “Ora sto cercando un’attrice a cui appiccicare addosso il soprannome Anna Montata, mutuato dal film Hannah Montana. Le viene in mente nessuno? – ha chiesto Lucherini a Zincone -. Nel passato di sicuro Sylva Koscina. Tornata dagli Stati Uniti parlava di sé in terza persona. Un giorno mi complimentai con lei perché aveva una parte in Giulietta degli spiriti di Fellini. Mi rispose: “È solo uno schizzo, una pennellata”. Rendiamoci conto. Ma che espressione è? Portai Visconti a casa sua, per sfotterla”.
Pubblicato su BoxOffice dicembre 2012