
"La barbarie è lo stato naturale dell'umanità", disse l'uomo della frontiera guardando ancora seriamente il cimmero. "La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la barbarie, alla fine, deve sempre trionfare."». Parola di Howard, inventore di Conan, nel 1932. Un sogno da barbari.
“Conan the Barbarian”, è il migliore barbaro sognante della storia del cinema.“Vivo, amo, uccido i nemici. E sono soddisfatto”, ripete almeno un paio di volte durante il film diretto da Marcus Nispel che è uscito il 18 agosto in Italia, con la distribuzione di Rai Cinema. Testosterone come se piovesse e una ruspante visione etica dell’umanità: sono questi i due pilastri della storia. Da una parte ci sono i cattivi, civilizzati ma corrotti e disposti a ogni iniquità per la loro brama di potere, e dall’altra ci sono i buoni, che sembrano, è vero, più semplici e rozzi ma che hanno dalla loro un alto senso della giustizia. Se vi ricorda qualcosa, avete indovinato.
Nato nel 1932, in piena depressione economica, il personaggio di Conan il barbaro, eroe di fantasia ma non troppo, odia il potere precostituito dei privilegi acquisiti senza merito e lotta per un mondo più giusto dove la forza e la spada siano al servizio dei più deboli e delle vittime delle ingiustizie. Inutile dire che nel 1932, in America, un eroe del genere ebbe un successo clamoroso. Durante la più grave crisi economica del Novecento, gli ideali di Conan, barbarici ma giusti, sembravano indicare la strada di un possibile riscatto per le mille intemperie che i nuovi poveri in tutto il mondo erano improvvisamente costretti a sopportare. Un eroe forte, invincibile, incapace di menzogna e falsità e dedito esclusivamente all’eliminazione dell’odiosa casta degli avidi privilegiati al potere, era destinato a suscitare una simpatia profonda da parte del pubblico.
Non è un caso che la semplice (semplice ma non semplicistica) filosofia del “barbaro che sogna” sia destinata oggi, nel 2011, a riaccendere la fantasia degli spettatori, proprio durante una crisi economica internazionale che sembra avere, purtroppo, fin troppi punti di contatto con la Grande Depressione del 1932.
Conan, il barbaro sognante, è interpretato da un attore hawaiano, Jason Momoa, che sembra non temere confronti con il suo predecessore del 1982, Arnold Schwarzenegger. “Diciamo la verità – ha scritto il critico Michele Anselmi -: non è che Schwarzenegger, fino ad allora culturista austriaco di discreta notorietà, fosse tanto più bravo, a recitare, di Momoa. E tuttavia tra il primo “Conan il barbaro” e l’odierno “Conan The Barbarian” la differenza, pure ideologica, risalta subito agli occhi. Lì c’era un regista folle ma genialoide, John Milius, autore di film come “Un mercoledì da leoni”, uno che si prendeva troppo sul serio, salvo poi divertirsi a scandalizzare i progressisti definendosi un “fascista zen”. Qui c’è un onesto mestierante, il tedesco Marcus Nispel, specializzato perlopiù in rifacimenti di horror celebri, tipo “Venerdì 13”, chiamato a risuolare i sandali di Conan, aggiungendo la visione tridimensionale e una caterva di effetti speciali. Chi ama il genere magari si divertirà, a patto di non essere troppo in là con gli anni”.
Conan nasce su un campo di battaglia, con un parto cesareo da brivido e che è destinato a far saltare più di una spettatrice sulla sedia. Barbaro per nascita ed elezione, scopre ben presto che il mondo cosiddetto civilizzato è caratterizzato dall’inganno e dall’ingiustizia. Poco più che adolescente assiste al barbaro assassinio del padre e alla distruzione del proprio villaggio. Un trauma che segna la sua vita e che gli farà capire presto da quale parte stare. Diventa soldato per necessità e non si fa scrupolo di frequentare la parte apparentemente meno nobile dell’umanità. Ma è proprio ai margini del mondo “civile”, al fianco degli sfruttati, che maturano i sentimenti della sua ribellione. Fra combattimenti e stregonerie, Conan troverà anche l’amore. Fino alla vittoria finale.
“Recuperando i fasti e le convenzioni del genere epico-mitologico, il fantasy di Marcus Nispel rimette al centro del racconto l’eroe assoluto che abita un mondo immaginario e rigidamente manicheo, che vive e ama appeso a una lama rossa di sangue, impugnata per fare scempio di re malvagi, spettri reali e mostri ancestrali. Pervaso da un respiro ‘democratico’ (la liberazione degli schiavi e dei condannati ai lavori forzati), il Conan di Nispel miscela agilmente divertimento e azione. Se a mancare è il coinvolgimento emozionale, i personaggi si fermano all’epidermide, l’aspetto senz’altro più godibile è il gusto per il dettaglio esaltato dalla tridimensionalità e dall’altissima tecnologia, che frantuma le ossa e fende la carne investendo verosimilmente occhi e orecchie dello spettatore”, ha ha scritto Marzia Gandolfi sul sito MyMovies del milanese Pino Farinotti.
Conan esordì nel 1932 sulla rivista popolare “Weird Tales” come protagonista del racconto “La fenice sulla lama” scritto da Robert Ervin Howard. Secondo la critica letteraria, “Conan era un «barbaro», proveniente dalla Cimmeria e spesso stentava a comprendere non tanto la civiltà, quanto l’uomo civilizzato. Howard, attraverso Conan o altri personaggi di contorno, infatti, trovava sempre l’occasione per criticare il genere umano, tanto avvezzo alle comodità, quanto alle azioni subdole, sempre pronto ad ottenere il proprio vantaggio, anche a costo della vita di qualcun altro. E proprio in contrasto con questo atteggiamento, Conan spicca soprattutto per nobiltà nel portamento e nelle azioni: nonostante i suoi mestieri siano stati quelli di ladro, mercenario, pirata, non rinunciava ad aiutare una persona in difficoltà (soprattutto se era una bella donna), indipendentemente dal possibile guadagno. In questo senso Conan era quindi un «barbaro»: il suo agire limpido, nobile e sincero di fronte alle persone più umili era decisamente estraneo all’atteggiamento solito della gente civilizzata”.
Per capire meglio lo spirito della filosofia del barbaro che sogna bastano però poche righe del racconto originale. «”La barbarie è lo stato naturale dell’umanità”, disse l’uomo della frontiera guardando ancora seriamente il cimmero. “La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la barbarie, alla fine, deve sempre trionfare.”», scrisse Howard nel 1932. Un sogno da barbari. Anacronistico e, forse proprio per questo, ancora più affascinante!
Pubblicato su La Padania il 19 agosto 2011
