
I perdenti ci affascinano. Ci fanno ridere e ci fanno piangere. I perdenti siamo noi. Per questo li amiamo. E per questo motivo il nostro cuore è saltato in aria alla notizia della morte di Matthew Perry (Chandler della sitcom della NBC Friends).
Stavamo già leggendo la sua struggente autobiografia, Friends, Lovers, and the Big Terrible Thing, uscita solo un anno fa (e che sta continuando a scalare le classifiche delle vendite e degli abissi della nostra anima), quando la notizia della sua scomparsa ci ha fatto esplodere una voragine nel petto. «Ciao, mi chiamo Matthew. E dovrei essere morto», scrive nell’incipit. «Come sta Matthew Perry? Tutti me lo hanno chiesto in questi anni. Mi sono sempre irritata per la domanda perché non potevo dire quello che volevo. A volte mi limitavo ad un: “Penso che stia bene”. Ma non ero davvero sicura di come stesse Matthew. Come ti racconterà in questo libro, lo teneva segreto. E gli ci è voluto del tempo per sentirsi abbastanza a suo agio da raccontare quello che stava passando», scrive Lisa Kudrow (Phoebe) nella prefazione del libro. La vita di Matthew è stata un inferno ed è stata compensata, in parte, dalle risate sul set di Friends. «Matthew poteva farmi ridere così forte da farmi piangere e da non riuscire a respirare», scrive Lisa. «Matthew ci accompagna attraverso il suo “inferno” ma non si crogiola . Questo libro è pieno di speranza per il futuro», ha scritto Marta Kauffman , co-creatrice di Friends. L’happy ending del libro (la sobrietà raggiunta così a fatica) acquista però, dopo la notizia della sua morte, un sapore insopportabile, impossibile da gestire. E così, mentre elaboriamo un lutto che non sappiamo neanche di avere, esce per nostra fortuna la terza stagione di quel capolavoro che è Slow Horses, Ronzini, una serie di Apple TV + che «si muove su ondate di noia e delusione, e sull’amara gioia di un sarcasmo sapientemente affinato», come scrive il critico del New York Times Mike Hale. In questi anni ci siamo eccitati in modo frivolo a guardare le missioni impossibili dei vincenti di turno come Ethan Hunt (Tom Cruise), Jason Bourne (Matt Damon) e soprattutto James Bond (Daniel Craig, Roger Moore e, ovviamente, Sean Connery). Un’eccitazione futile che ci lasciava disfatti sulla poltrona con la paura di guardarci nello specchio. Chi ha il coraggio di affrontare la propria banalità? Ci voleva l’agente segreto Jackson Lamb (Gary Oldman), con i suoi peti infernali che fanno storcere il naso alla seconda scrivania dell’MI5 Diana Taverner (Kristin Scott Thomas), per farci fare pace con le nostre imperfezioni. La squadra di agenti difettosi (a causa dei loro errori sono confinanti nel ‘pantano’, la sede più sfigata di tutti i servizi segreti inglesi) guidata dal lurido e irascibile Lamb è lo specchio della fragilità umana. Così piccola, così autentica, così divertente. Si tratta proprio del «sarcasmo sapientemente affinato» di cui abbiamo bisogno per capire chi siamo. Realmente. Ciao Matthew. Ci vediamo in giro.
Andrea Piersanti
Su Tivù di dicembre 2023
