The end of the f… teen tv

Pubblicato: 8 marzo 2018 in la giusta distanza

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La tv adolescenziale o è adolescenziale o non è. Le serie Stranger Things, Th1rteen R3Asons Why, Atypical, solo per citare le più serie tv più famose e più amate dalla generazione Z, sono state costruite per gli adolescenti (target), sugli adolescenti (trama) e con gli adolescenti (casting).

Secondo un algoritmo elementare, se vuoi parlare ad un adolescente non puoi che proporgli la storia di un altro adolescente. I ragazzi detestano i grandi e sperano di non crescere mai, recitano i mantra dell’algoritmo. Di conseguenza non possono provare empatia per una serie tv scritta dai grandi a meno che gli adulti non raccontino la storia di un adolescente. Regole semplici e consolidate. Fino ad ora. Poi però sugli schermi degli abbonati di Netflix è arrivata una miniserie (otto episodi di una ventina di minuti ciascuno) che si chiama, profeticamente, The End of the F… World. Apparentemente l’algoritmo è rispettato: la tripletta della presenza di adolescenti composta da target, trama e casting c’è tutta. Solo che questa serie per i teen è diversa da tutte le altre e, soprattutto, è diversa (molto diversa) da come te la aspetti. A partire dall’incipit. “Mi chiamo James, ho 17 anni e credo proprio di essere uno psicopatico”, dice uno dei due protagonisti sui titoli di testa del primo episodio. Alyssa, la ragazza, invece è alla mensa della scuola e una sua compagna, seduta di fronte a lei, le manda un messaggio. Alyssa si alza e schianta il proprio smartphone sul pavimento. Basata su una graphic novel di Charles Forsman (ambientata in America e pubblicata in Italia da 001 edizioni), racconta la storia di due adolescenti inglesi, James e Alyssa, che, frustrati dal loro contesto familiare (una mamma suicida per lui e un padre irresponsabile  per lei) e dall’ambiente che li circonda (un padre incapace per lui e una madre borghese per lei), decidono di fuggire e di esplorare il mondo. Nella brevissima serie si confondono almeno tre generi diversi: storia di formazione, crime story e black comedy. I protagonisti sono antipatici e le loro vicende non sono mai consolatorie. La serie ha letteralmente spaccato il pubblico di adolescenti: c’è chi l’adora e c’è chi la odia. I grandi la guardano con sgomento. Il ritratto è impietoso e gli adulti della serie, se possibile, ne escono anche peggio dei giovani protagonisti. Tranne una. La poliziotta (gay) che indaga. Interpretata da Gemma Whelan, la Yara Greyjoy di Game of Thrones, si distingue perché è l’unica che riesce a comprendere l’enorme dolore di questi due ragazzi con le ali rotte (come avrebbe detto Don Milani). La serie aveva debuttato senza successo un anno fa su Channel 4. Poi, dopo dodici mesi, è stata riproposta sulla piattaforma di Netflix e, finalmente, ha mandato in fibrillazione il pubblico dei teen. Si tratta però di un momento di svolta nella narrazione tv per gli adolescenti. Le prossime serie non potranno che ripartire da qui, se vorranno veramente parlare ai teen. Altrimenti sarà the end of the f… teen tv.

di Andrea Piersanti

Pubblicato su Tivù di marzo 2018

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