#Venezia70, diario del terzo giorno, solo i film. Per fortuna c’è Judi Dench. Il serial killer di James Franco. L’irresistibile punk ribelle di Stoccolma. Gli applausi ai cinegiornali del Luce

Pubblicato: 31 agosto 2013 in cinema
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«Lei crede in Dio?». «E’ una domanda complessa alla quale è difficile dare una risposta semplice. E lei?» «Sì». Judi Dench e Steve Coogan in Philomena di Stephen Frears.

«Lei crede in Dio?». «E’ una domanda complessa alla quale è difficile dare una risposta semplice. E lei?» «Sì». Judi Dench e Steve Coogan in Philomena di Stephen Frears.

La frase del giorno: «Lei crede in Dio?». «E’ una domanda complessa alla quale è difficile dare una risposta semplice. E lei?» «Sì». Judi Dench e Steve Coogan in “Philomena” di Stephen Frears.

VI ÄR BÄST! (WE ARE THE BEST!), svedese, Orizzonti, di Lukas Moodysson. Punk e ribellione per le vie gelate di Stoccolma. Le tre giovanissime protagoniste sono brave e hanno un’energia pazzesca, contagiosa. Siamo negli anni Ottanta, all’inizio del riflusso e dopo la sbornia delle proteste giovanili degli anni Sessanta e Settanta, con genitori ormai attoniti o assenti. Bobo, Klara e Hedvig, fra dodici e quattordici anni, decidono di mettere insieme una band punk fuori tempo massimo. “Non è vero che il punk è morto”, dicono. Ridono e corrono per i centri commerciali e per le fermate della metropolitana come un uragano impazzito. I grandi non le capiscono. Neanche i coetanei. Loro massacrano una batteria e un basso elettrico per strillare la loro rabbia. Lo sport fa schifo, urlano. Un film antidepressivo. Da non perdere (se qualcuno avrà la bontà di distribuirlo anche in Italia).

CHILD OF GOD, americano, concorso. Di James Franco e basato sull’omonimo romanzo di Cormac McCarthy. Lui sbircia da lontano il banditore che mette all’asta la terra e la casa del padre. Esplode, urla, minaccia. Ma si becca una bastonata in testa e la comunità della montuosa contea di Sevier (Tennessee) lo respinge. Inizia così un percorso di disperazione e di solitudine. Il volto tagliato con l’accetta di Scott Haze, la sua recitazione fisica oltre i limiti (defeca a favore di camera, si fa colare il moccio dal naso, sputa, ride, urla, piega le spalle, corre, sbuffa, salta, spara, mastica le parole), le foreste abbandonate, le baracche, gli stracci. Un percorso nell’abiezione umana. Arriva fino a strisciare negli anfratti più reconditi di una caverna per poi riemergere dalla terra smossa come uno zombie di Romero. E’ la storia di Lester Ballard, sfrattato, carattere violento, serial killer di giovani fanciulle, necrofilo e stupratore. Un ultimo della terra. «Vedevamo la possibilità di analizzare l’isolamento estremo per mostrare, in un modo certamente intenso, che cosa significhi volersi disperatamente collegare ad altri esseri umani e non essere capaci di farlo», dice il regista. Un «“Child of God”, un “figlio di Dio”, molto simile a te forse», ha scritto McCarthy. Forse. E forse no. Ma il film è scritto e diretto molto bene e la fotografia è durissima e affascinante. Il protagonista potrebbe prendere un meritato premio per la sua interpretazione così estrema.

PHILOMENA , inglese, concorso, di Stephen Frears. Con Judi Dench (irresistibile), racconta una storia che sembra uguale a “Magdalene Sisters” di Peter Mullan, un film che nel 2002 suscitò più di un malumore in casa cattolica. Suore irlandesi di mezzo secolo fa, ragazze madri schiavizzate nei conventi e cose così. Ma Frears sceglie il taglio della commedia e non quello della tragedia di denuncia (come aveva fatto invece Mullan undici anni fa). Il risultato è strepitoso. Alla proiezione per i giornalisti decine di risate e di scroscianti applausi a scena aperta. E’ tratto da una storia vera (come molti film del festival). Philomena, giovane ragazza madre, costretta a lavorare nel convento per espiare il peccato della passione, si vede portare via il piccolo, adottato da una coppia misteriosa. Dopo cinquanta anni di disperazione e dolore, decide finalmente di partire alla sua ricerca. Si farà aiutare da un giornalista, Martin Sixsmith, interpretato da Steve Coogan (che ha collaborato anche alla sceneggiatura). Un vero e proprio road movie di una stranissima coppia agli antipodi. Lui viene dalla politica, scrive libri sulla storia russa, è ateo e la vita lo ha reso cinico. Lei ha fatto l’infermiera tutta la vita, è credente e legge romanzetti rosa d’appendice. I dialoghi sono esilaranti. E’ sempre lui a fare la figura dell’imbecille. La frase del giorno è di questo film. I loro duetti sulla fede andrebbero riascoltati nel catechismo. «Lei crede in Dio?», domanda al giornalista. «E’ una domanda complessa alla quale è difficile dare una risposta semplice. E lei?». «Sì», risponde asciutta Judi Dench. E basta. Ma non è poco.

VENEZIA 70 RELOADED. In attesa di vedere i corti commissionati dalla Biennale a registi di tutto il mondo per parlare del futuro del festival e del cinema, prima di ogni proiezione, con la stessa sigla, vengono presentati alcuni spezzoni autentici (e molto brevi, massimo un minuto) di vecchi cinegiornali del Luce sulla Mostra di Venezia. I giornalisti, nelle proiezioni a loro riservate, ridono e applaudono ogni volta. Come se i volti giovanissimi in bianco e nero di Andreotti, del Conte Volpi o di Orson Welles, fossero entrati ormai a far parte di un immaginario cinematografico di culto, più figo insomma della Lohan (fischiatissima).

Pubblicato su L’Intraprendente il 31 agosto 2013

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