Eddai, che non si può fare così. Ebbasta. Continuano a dire che in Italia manca l’industria del cinema. Dicono che si devono uccidere gli autori (troppo autoreferenziali e ombelicocentrici) e si devono rottamare tutti quei produttori fighetti che sono ormai diventati più egocentrici degli stessi autori (Pigneto docet). La tesi è stantia.
Senza autori e con maggiore rigore produttivo si può rilanciare l’identità di una cinematografia e quindi di un paese, ripetono stancamente opinionisti senza cuore. Potremmo finalmente girare anche noi in Italia serie tv come “Homeland” o film come “Dunkirk”, dicono. Ma è una bestialità. Una immensa stupidaggine. Gli autori, non l’industria, sono la linfa vitale di una cultura. Noi viviamo in un paese dove un poeta assoluto come Pasolini poteva raccomandare a Garzanti “Un borghese piccolo piccolo” di Cerami. Noi siamo il paese dove Suso Cecchi D’Amico poteva scrivere con Visconti lo scalettone de “La recherce” e poi permettersi il lusso di non produrlo. Noi siamo il paese dove è nato il primo festival di cinema del mondo e che, fin dalla prima edizione, si chiama (ancora oggi) “Mostra d’arte cinematografica”. Arte cinematografica. Mica un qualsiasi festival del marketing. Noi siamo il paese (la cultura e l’identità) di Calvino e De Sica, di Morante e Solinas, di Rossellini e Rodari, di Levi e Fellini. Mica pizza e fichi. Da noi, insomma, gli autori contano. E contano tanto. Tantissimo. Ecco. Fatto. Dovevamo scriverlo, dirlo e urlarlo. Poi, fatto un respiro, ritrovata la calma e un po’ di lucidità, riapriamo gli occhi sulla situazione attuale dell’industria cinematografica italiana. Come dopo lo shock del bombardamento di San Lorenzo. Come dopo un terremoto. La cultura italiana del dopoguerra era pazzesca. Nei bar, davanti al caffè, si parlava di ricostruzione e di Dante. Si parlava di costituente e di Guttuso. Gli autori, secondo il saggio consiglio di Zavattini, prendevano l’autobus e vivevano nei casermoni dei quartieri anonimi del primo boom economico. Poi sono arrivati gli attici e le terrazze sul centro storico. Sono arrivate le superville sull’Appia Antica e sull’Aventino. Sono arrivati i soldi. Tanti soldi. Troppi soldi. I problemi sono iniziati allora. Quando le cose andavano bene e Hollywood si sbronzava sul Tevere. In quel momento è iniziata la crisi del cinema italiano. All’estremo opposto della teoria trita e ritrita che più industria e meno autorialità potrebbero rilanciare le nostre sorti, c’è l’amara constatazione che è proprio questo il difetto, il vulnus più grave della nostra cinematografia: abbiamo scordato chi siamo e pensiamo (con un salto mortale della nostra intelligenza e della nostra memoria) che possano essere gli autori di Hollywood a spiegare agli italiani come scrivere un romanzo o una sceneggiatura. Scriveva Pasolini a proposito di Cerami: “E’ uno scrittore davvero e non somiglia a nessuno”. Ecco chi siamo.
Pubblicato su Box Office del 15 novembre 2017