Il web in Italia è ormai fuori controllo ma, al contrario di quanto diceva Mao, il caos nazionale sul destino della nuova economia digitale non è una “situazione eccellente”. I nodi da sciogliere sono ancora troppi e la nostra politica, nonostante alcune isolate eccezioni, sembra mancare della necessaria consapevolezza sulle dimensioni dell’abisso che il digital divide italiano sta scavando sotto le fondamenta della nostra economia. La commissione parlamentare che ha appena concluso i propri lavori sulla “Carta” dei diritti della rete, per esempio, sembra poca cosa se paragonata alla più robusta iniziativa del governo Merkel contro Google. Il ministro della Giustizia tedesco ha chiesto di rendere pubblici e trasparenti gli algoritmi del più potente motore di ricerca del mondo. Un’iniziativa politica forte e che dimostra un alto livello di conoscenza dei reali pericoli della rete. «E’ noto da tempo che il mondo digitale non riconosce più le frontiere nazionali. Ma quando le aziende digitali offrono i loro servizi e prodotti a cittadini della Ue è giusto che aderiscano alle leggi europee, incluse quelle sulla protezione dei dati personali, a prescindere di dove sia la loro sede centrale», ha detto il ministro tedesco Heiko Maas, in un’intervista al Financial Times. Il nostro Rodotà, alla fine dei lavori della Commissione Parlamentare, invece si è limitato ad enunciare principi generali. «La neutralità della rete – ha detto -, è condizione necessaria perché possa mantenere la sua capacità di innovazione». Un po’ poco rispetto all’invasività della rete nella nostra vita quotidiana. Passiamo ormai più di due ore al giorno chini sui nostri smartphone super connessi alla rete ma non riusciamo a controllare neanche la minima parte dei “big data” che viaggiano veloci su Internet.
Si tratta di una schizofrenia tutta italiana e ancora da studiare. Il progetto di una “web tax”, per esempio, si è arenato nella palude parlamentare e governativa mentre i cosiddetti “OTT” (la stessa Google, Facebook, eccetera) continuano allegramente ad eludere il sistema fiscale italiano. Un danno concreto di milioni di euro per le casse dell’erario, tanto più grave nel momento in cui gli italiani sono mestamente in fila per pagare tributi e imposte di tutti i tipi. Anche lo sbanderiato progetto di investimenti per la banda larga è ancora fermo al palo. Gli impegni formali assunti dagli operatori tlc italiani nel settore dell’ultrabroadband non corrispondono agli annunci sui giornali, ha detto sospirando il Sottosegretario alle comunicazioni, Antonello Giacomelli, in un’intervista al Sole 24 Ore. Il Ministero dello sviluppo economico convocherà al più presto le aziende per avere conferma dei loro reali piani di investimento, ha rivelato Giacomelli, ma in realtà solo Telecom Italia ha risposto alla richiesta del MiSE di fornire i suoi piani d’investimento sull’ultrabroadband…
L’articolo intero è stato pubblicato su Il campo delle idee il 16 ottobre 2014