
"Contagion" di Steven Soderbergh, e se la colpa del contagio fosse dell'Oriente? Arriva una nuova guerra a colpi di immagini cinematografiche
Steven Soderbergh, regista della trilogia Ocean’s Eleven, Twelve, Thirteen, è un amico a Venezia. È a Venezia che presentò i film indipendenti e più personali girati in digitale Full Frontal e Bubble. A Venezia 68 Soderbergh porta Contagion, una pellicola che racconta una pandemia, non distante dai virus che in inverno i media, o i governi che usano i media, o i colossi farmaceutici, usano per terrorizzarci.
È interessante riflettere sul finale del film. Soderbergh, a storia conclusa, fotografa la diffusione della malattia, cioè tecnicamente come il virus è nato, per la casualità e per l’assenza di leggi di igiene. Ed è interessante che la location sia a Oriente e non a Occidente. Sembra una réclame contro l’Oriente e ciò che proviene dall’Oriente, contro l’importazione.
Una delle guerre che l’America vinse negli anni ’40-‘50 è la guerra dell’immagine e dell’immaginario. È anche con i film che l’America è diventata “America”. Invece la guerra dell’Oriente, e dei cinesi, è economica, non di immagine. Infatti i cinesi si stanno comprando Milano, Londra, New York.
Ecco, è interessante pensare che l’America si stia difendendo dall’attacco economico con l’immagine e l’immaginario, con i film. Il finale di Contagion difende l’America.
Gerry